Fervono i preparativi, ormai quasi tutta l’attrezzatura è al completo, l’allenamento è discreto, la meta finale è là, a quasi 5000mt, 4810 per l’esattezza, facile quindi indovinare di che vetta si parla…hehe…indovinate indovinate 😉
Comunque, in attesa che venga il giorno della grande sfida ci si prepara con prove generali come quella di ieri.
Alle 4.30 la sveglia suona, scendo dal letto e mi preparo in fretta cercando di tenere gli occhi chiusi, quasi per riuscire a riposare ancora qualche minuto ma ormai sono in piedi. L’appuntamento è per le cinque e lo zaino è pronto, preparato la sera prima ed anche per questo mi sento stanco, era mezza notte che finivo di prepararlo e dopo quattro ore e mezza di sonno la stanchezza è ancora molta…cmq. Alle cinque si parte, destinazione Pinzolo, più precisamente il rifugio “Ai Caduti dell’Adamello” passando dalla Val di Genova. Ad un quarto alle sette parcheggiamo la macchina, il silenzio è interrotto solo dal canto di qualche uccello e dai nostri passi, calziamo gli scarponi, ci carichiamo gli zaini a spalle, ed alle sette siamo sul sentiero che da quota 1584 della valle ci porterà ai 3050 metri di altezza del rifugio. Come sempre quello più sicuro ed attrezzato sono io, e questo lo pago col peso dello zaino che con i suoi 15kg di peso mi rallenta costringendomi a qualche sosta ogni tanto. Il tempo è nuvolo e le previsioni dicevano che sarebbe stato brutto ma io le previsioni non le ho mai seguite…ed infatti non piove, e sinceramente le nuvole che coprono il sole sono un sollievo dato che dopo i 2000 mt non c’è più vegetazione e quando c’è il sole è un’autentica sudata. I panorami sono incantevoli e le cascate che scendono dal ghiacciaio sono nel pieno della loro portata, il fragore si sente per tutta la valle ed arrivati ad un punto in cui si possono ammirare completamente in tutto il loro splendore, ci fermiamo per scattare alcune foto con la mia inseparabile macchina fotografica che mi segue ovunque. Oltrepassate le cascate ed alcuni tratti di sentiero attrezzato con cavi d’acciaio e scalette, raggiungiamo la sorgente del fiume Sarca, proprio al limite del ghiacciaio. Il vento è gelido e ci fermiamo solo pochi minuti per ammirare il paesaggio, ripartendo poi di buon passo verso il nevaio e l’ultimo tratto del percorso. Camminare nella neve con uno zaino pesante è piuttosto faticoso ed il mio compagno di viaggio, meno attrezzato (beata incoscienza), ogni tanto si deve fermare per aspettarmi. Tutto sommato raggiungiamo il rifugio in quattro ore, quindi impiegando un tempo inferiore a quello segnato sulla traccia che lo dava per 4,5 – 5 ore. Guardiamo il paesaggio che con quella luce ha qualche cosa di mistico, un’atmosfera incantata e silenziosa circonda tutte quelle creste innevate. Si vede passare solo qualche puntino, alpinisti che di tanto in tanto arrivano al rifugio. Entriamo e decidiamo di scaldarci con un brodino caldo (chi ride lo sfido a provare), un vero toccasana in certi casi. un ora di riposo e siamo pronti per la discesa. Quattro chiacchiere col gestore del rifugio, persona cordialissima e disponibile, con la quale ci scambiamo impressioni ed esperienze, poi si scende. La discesa è su un sentiero diverso da quello dell’andata, che in effetti non conosco molto bene, e se c’era la possibilità di sbagliare strada noi l’abbiamo fatto con stile.
Una cosa però è strana, le uniche alpiniste che ho incontrato, due per l’esattezza, erano straniere…che le donne italiane siano da meno? Mmm…spero di no!!! AAA cercasi 😛
ciao ciao